Bisogna individuare le malattie quanto prima possibile.
Bisogna dare un nome preciso alle più diverse condizioni di malattia, e se qualcuna non ha nome, dobbiamo crearlo.
Bisogna curare ogni anomalia, e per ognuna bisogna avere un chiaro e unico procedimento infallibile di cura.
Siamo tutti d’accordo su questi princìpi basilari, persino ovvi, della medicina.
Sono princìpi che hanno portato lontano, che hanno permesso di aumentare la nostra aspettativa di vita fino a limiti impensabili un secolo fa.
Sono princìpi scolpiti nella pietra.
Fino a un certo punto.
Il metodo scientifico, oggi preso a sassate da più parti, non finisce mai di stupire. Lo stesso metodo che ha consentito di scrivere quelle regole, è capace di metterle in discussione, almeno in parte.
Rimango sempre affascinato dalla capacità della scienza di osservare se stessa e di correggere la rotta quando rischia di sbandare.
Leggo in questi giorni che la comunità scientifica medica si interroga sulle nefaste conseguenze di quella che viene chiamata overdiagnosis, come dire, in italiano, sovra-diagnosi, diagnosi eccessiva.
Ohibò, può esistere un “eccesso” di diagnosi? È mai possibile che si possa essere “troppo” studiati, indagati, curati?
Attenzione che non si tratta di dire che “prendiamo troppe medicine” e quindi che dobbiamo tornare a curarci con i pappini e gli infusi; è meglio specificarlo, oggi che il richiamo ai buoni vecchi tempi rischia di portare a inquietanti nostalgie pre-scientifiche.
Si tratta invece del fatto che la legittima curiosità scientifica (anche in buona fede), soddisfatta con strumenti sempre più sofisticati, porta a definire da una parte nuove malattie, dall’altra condizioni di pre-malattia sempre più sfumate.
Uno degli esempi (di cui ho già parlato) è quello delle nuove linee guida per la pressione alta: le linee guida americane sull’ipertensione del 2017 hanno portato il numero complessivo di americani ipertesi da 72 a 103 milioni con un aumento del 43% dei “malati”, perché individuano come “ipertese” persone con valori di pressione sempre più bassi.
Altri esempi molto interessanti li trovate in questa bella sintesi.
La domanda che la comunità scientifica si pone, oggi, è se individuare nuove malattie o stadi sempre più precoci di malattie già note, sia effettivamente di beneficio per i pazienti, o non porti invece alla situazione paradossale per cui certe terapie e certi procedimenti diagnostici risultano più dannosi della malattia (o dello stadio della malattia) che dovrebbero curare.
La riflessione è estremamente interessante, e ha a che fare con il rasoio di Occam.
I bisogni di salute della popolazione mondiale sono in continua, inarrestabile, crescita e alimentano un universo industriale ed economico gigantesco.
Di nuovo attenzione: non voglio qui insinuare sospetto o sfiducia nei confronti dell’industria farmaceutica e della ricerca medica, grazie alle quali molti di noi conducono una vita normalissima quando cinquant’anni fa sarebbero stati (come minimo) seriamente invalidi.
Ma è un fatto che l’industria lavora per il profitto (cosa di cui non mi scandalizzo) e anche questa è una spinta verso l’estremizzazione della ricerca, che per grandissima parte significa progresso e benessere, ma che può finire per avvitarsi su se stessa con dubbia utilità pratica per i malati.
Da tutto ciò ricavo un certo sollievo nello scoprire che la ricerca medica riflette sui suoi risultati e riesce a darsi dei criteri di auto-diagnosi per limitare, non in base a un ottuso “buon senso” ma a un rigoroso approccio metodologico, i danni che potrebbe procurare se spinta a certi eccessi (qui un ottimo articolo in merito).
Peraltro, ne ottengo una vaga consolazione per i momenti in cui, di fronte alla complessità di certe linee guida che noi medici pratici siamo costretti a digerire, mi trovo in difficoltà ad applicare alla vita quotidiana di ambulatorio le ultime, nuovissime, luccicanti indicazioni diagnostico-terapeutiche elargite a noi comuni mortali dai supereroi che stanno ai confini del cosmo.
Credo però che da questa riflessione possa filtrare qualche idea anche per chi in ambulatorio ci viene perché vuole chiarimenti, rassicurazioni, certezze.
Viviamo in un tempo in cui, curiosamente, alle spinte anti-scientifiche e irrazionali si oppone una iper-medicalizzazione del benessere, per cui ad ogni stato di sofferenza si vorrebbe dare una spiegazione unica, con un nome unico, che possa essere trattata in un modo unico e che dia l’unico, imprescindibile, risultato di una rapida guarigione.
E così mi viene da pensare che come io (medico) devo ogni tanto evitare di “over-diagnosticare” e “over-trattare” segni piccoli e sfumati o stati di pre-malattia poco rilevanti, così voi (pazienti) potreste provare ogni tanto, solo ogni tanto, a mettere nel vostro arsenale di “eventuali malati” una certa dose di pazienza e (dico la parola grossa) di rassegnazione di fronte a stati di malattia che malattia forse non sono, o rinunciare a inseguire come il Santo Graal indizi minuscoli di futuribili disgrazie, ispirati nella ricerca dalle suggestioni televisive del pomeriggio, o dal banner pubblicitario della vostra pagina Facebook.
Per cui, ecco che torno al mio vecchio mantra: se avete dubbi, chiedete al vostro medico, non a Google. E mi permetto di aggiungere un piccolo corollario: siate coraggiosi e (perché no?) un po’ incoscienti.
La vostra prossima malattia saprà cogliervi di sorpresa comunque, per quanto previdenti e ansiosi siate stati nel tentativo di prevenirla a tutti i costi.
P.S. Già vi vedo toccare ferro e altre varie cose. Ci sta, come dice mio figlio. Considerate semplicemente che non esiste essere umano nella storia della specie che non si sia, prima o poi, mortalmente ammalato. Ma non ci pensate, sono bellissime giornate di sole.
P.P.S. Naturalmente non generalizzo: so benissimo che ci sono frotte di pazienti che sono “troppo incoscienti”, al limite dell’autolesionismo. A loro, invece, consiglio caldamente di alimentare un po’ di più la preoccupazione sulle loro condizioni di salute e un po’ di meno il consumo di mille vari nocivi generi di conforto. Ma temo che loro, purtroppo, non leggano queste note.