Non siate iperprotettivi: lo stomaco ringrazia.

Abbiamo la radicata convinzione che il nostro stomaco debba essere protetto.
Pare incredibile che la gente abbia vissuto migliaia di anni senza il protettore gastrico. La gastrite, figlia dello stress o indotta da tutte le pastiglie che finiscono dentro il tartassato organo digestivo, deve essere curata a prescindere. Anzi, possibilmente prevenuta.
Con un’altra pastiglia.
Dobbiamo proteggere lo stomaco dai farmaci anti-infiammatori, dal cortisone, dallo stress operatorio di qualsiasi intervento chirurgico anche minimo, dall’ansia, dai cibi, dal fumo. Dobbiamo proteggere non soltanto lo stomaco, ma anche l’esofago dal reflusso, la laringe dall’acidità. Proteggere, proteggere, proteggere.
E sapete che c’è? Oggi lo possiamo fare facilmente e in maniera molto efficace.
Oggi, ma non da oggi, esistono i gastroprotettori. Sicuramente tra i farmaci più richiesti e prescritti nello studio del vostro medico di famiglia.
E funzionano.
I tempi in cui le ulcere gastriche si curavano con la chirurgia sono un ricordo.
Già nel lontano 1976, una curiosa famiglia di anti-istaminici creativi e fricchettoni si è riciclata come antiacido e anti-ulcera. Erano gli anti-H2, cugini degli antistaminici anti-H1, quelli che curano il raffreddore da fieno. La Cimetidina e poi la Ranitidina (ancora oggi in uso, anzi tornata di gran moda) hanno davvero cambiato le cose, nella terapia dell’ulcera gastrica.
Poi nella seconda metà dei favolosi anni ’80, sono arrivati i supereroi dal nome un po’ comico: gli inibitori di pompa (oggi è più trendy chiamarli PPI, meglio se con pronuncia all’inglese pi-pi-ài), l’Omeprazolo e i suoi figli e nipoti (Pantoprazolo, Rabeprazolo, Lansoprazolo, Esomeprazolo).
Queste due categorie di farmaci fanno una sola cosa, con meccanismi diversi: riducono la produzione di acido cloridrico da parte dello stomaco.

Oggi è molto à la page dichiararsi nemici giurati delle medicine e delle case farmaceutiche, ma queste categorie di farmaci sono tra gli esempi più lampanti di come “la chimica” possa cambiare la storia naturale di alcune malattie, che fino a ieri semplicemente non venivano curate o richiedevano interventi chirurgici complessi e pericolosi. Mio suocero, negli anni ’50 in America, ha rischiato la pelle e ha subìto una gastrectomia (gli hanno tolto lo stomaco) per quella che oggi sarebbe considerata una “banale” ulcera gastrica, curabile con un mese di PPI. Ma oggi, praticamente, le ulcere gastriche non le vediamo più.

Dunque, spezzata una lancia in favore delle ricerca scientifica (e non sarà l’ultima volta su questo blog) e dell’applicazione pratica dei frutti della stessa, eccomi però costretto a gettare acqua sul fuoco. Perché anche le cose che funzionano molto bene, possono funzionare… troppo bene. Così bene che creano un esercito di entusiasti consumatori ai quali bisogna imporre un altolà.
“Troppo di una cosa buona fa una cosa cattiva”, Diceva Po in “Kung-fu Panda”.

Per prima cosa, se i PPI (che in questo sono più bravi degli anti-H2) riducono forzatamente la produzione di acido nello stomaco e soprattutto se lo fanno per lungo tempo (mesi o anni), lo stomaco, a cui è stato insegnato che gli acidi li deve produrre per digerire i cibi, compensa questa forzata riduzione con una forzata produzione. Risultato: i farmaci anti-acido perdono in parte di efficacia, ma soprattutto appena smettete di prenderli si scatena un violento effetto-rimbalzo: tutto l’acido che lo stomaco produceva in più vi garantirà un’immediato peggioramento dei sintomi. Non potrete più fare a meno del farmaco. Al primo tentativo di sospenderlo, fuoco e fiamme.

In secondo luogo, quando un farmaco funziona così bene e per una patologia così diffusa, viene utilizzato da un enorme numero di persone e finisce prima o poi per incappare in qualche incidente di percorso, principalmente perché un campione così grande di utilizzatori consente di studiarne gli effetti con notevole dettaglio e si scopre che persino farmaci tanto ben tollerati (nella mia carriera non credo di aver mai avuto a che fare con un paziente che abbia avuto effetti collaterali significativi) possono fare danni se usati troppo.
Non è una grande scoperta, in fondo. Tutti i farmaci sono potenzialmente dei veleni. E persino la toma grassa e il tiramisù fanno malissimo, se si esagera.
Tuttavia alcune cose credo che le dobbiate sapere.

Tanto per cominciare, capirete da quanto detto sopra che se l’acido cloridrico è così importante per la digestione (e quindi l’assorbimento) di certi alimenti, ridurne la quantità ha i suoi effetti. Anche se qui si parla di ridurre la quantità di acido in eccesso, tuttavia con l’uso dei PPI sono stati descritti una diminuzione dell’assorbimento della vitamina B12 , del ferro e del magnesio (cliccate sui link per il riferimento bibliografico).
L’alterazione dell’assorbimento del calcio porterebbe a un aumentato rischio di fratture ossee, anche se con un meccanismo non ancora definito.
L’aumento di rischio di infezioni intestinali da Clostridium Difficile in ambiente ospedaliero è stato ridimensionato da un più recente studio  pubblicato sull’American Journal of Gastroenterology.
L’aumento di rischio di polmonite è stato in parte contestato da studi successivi.
L’aumentato rischio di infarto  in realtà sarebbe suggerito da uno studio osservazionale molto ampio ma poco affidabile.
L’aumento del rischio di M. Di Alzheimer è altrettanto discusso: uno studio importante del 2016 pubblicato su JAMA Neurology  sembrava darlo per certo, ma studi successivi, pubblicati su Gastroenterology e sul Journal of American Geriatric Society  sembrano contraddire l’assunto e quindi su questo punto non vi dò certezze. Resta il fatto che l’attenzione della comunità scientifica su questo problema è molto alta.
L’aumento di incidenza di insufficienza renale sembra confermato.
L’aumentato rischio di sviluppare cancro gastrico, pare dovuto alla gastrite atrofica sviluppata a seguito della potente inibizione della secrezione acida anche in assenza di infezione da Helicobacter, anche se uno studio successivo su pantoprazolo sembrerebbe ridimensionare il problema.
E per finire, uno studio pubblicato dal British Medical Journal nel luglio 2017 dimostrerebbe un aumento del 25% del rischio di morte per ogni causa tra gli utilizzatori di PPI. È uno studio osservazionale, cioè basato sull’osservazione di grandi numeri di pazienti nel passato, dove l’inghippo sta in quel “per ogni causa”, che naturalmente è ben lontano dallo stabilire un rapporto di causa-effetto tra i PPI e la morte dei pazienti, quindi va preso con moltissima cautela e non interpretato alla lettera.

Tutto questo sfoggio di erudizione per dire che nessuno studio scientifico, da solo, può trovare la verità: servono lavori di conferma, approcci diversi al problema e solo quando un numero consistente di studi ben progettati convergono su un’evidenza, questa può essere trasferita alla pratica clinica.
D’altro canto, possiamo dire che il proliferare di studi critici sull’uso indiscriminato di PPI, anche qualora non dimostrasse definitivamente una loro immediata pericolosità, deve quanto meno allarmare. La quantità di gastroprotettori prescritti ai giorni nostri è probabilmente troppo elevata rispetto alle reali indicazioni per il loro uso e l’innocuità a lungo termine è tutta da dimostrare.

Tanto è vero che l’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA), che detta legge in materia, pone limiti restrittivi alla prescrivibilità a carico del Sistema Sanitario di questi farmaci (cioè alla loro cosiddetta “mutuabilità”). Detto brutalmente, se volete prendere PPI contro ogni evidenza di utilità, potete farlo, ma il farmaco lo pagate per intero (dovete sapere che oggi ci sono delle formulazioni di PPI che si vendono anche senza ricetta medica – il mercato sa dove pescare, quando si tratta di fare cassa).
Per curiosità, di seguito vi propongo due diagrammi di flusso che noi medici dobbiamo tenere a mente ogni volta che prescriviamo un PPI quando mettiamo sulla ricetta la famigerata nota ministeriale, un numero che dimostra che stiamo prescrivendolo per una precisa ragione (le note ministeriali in tema di PPI sono due, la numero 1 e la numero 48).
Se avrete voglia di seguire lo schema, scoprirete che l’uso di PPI per periodi superiori a un mese (e comunque da ricontrollare dopo un anno) è riservato a pochi casi selezionati.

In sintesi, avrete motivo di usare per più di un mese di fila i PPI solo se:

  • prendete anti-infiammatori praticamente di continuo per gravi malattie reumatiche o artrosiche;
  • prendete aspirina a basse dosi per “fluidificare” il sangue e avete più di 65 anni;
  • avete una malattia da reflusso gastroesofageo recidiva (cosa tutt’altro che facile da dimostrare nella realtà).

In tutti gli altri casi, dovrete ridurre il dosaggio (gradualmente!) fino a sospenderli, usare altre medicine in sostituzione (come gli antiacidi “di superficie” tipo il Maalox), modificare abitudini alimentari o di vita, evitare anti-infiammatori non indispensabili o… dare un po’ di respiro al vostro sistema nervoso.

Tutto questo per spiegarvi la mia faccia perplessa alla richiesta di prescrizione della millesima scatola di “protettore” gastrico.
Se la sala d’aspetto non sarà troppo piena, se non saranno gli ultimi tre minuti prima della chiusura (o magari già i 30 minuti dopo la fine dell’orario), se non avrò qualche situazione più grave in attesa, se non dovrò ancora rispondere a 10 mail e a 7 Whatsapp, se non squillerà il telefono proprio in quel momento… proverò a spiegarvi con calma tutto questo quando vedrò che prendete Omeprazolo da 5 anni senza apparente motivo. Altrimenti, spero che abbiate letto questo articolo e capiate al volo perché cercherò disperatamente di prescrivervi una dose ridotta di PPI.

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